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BABETTE 2008 (Cronache verosimili di un anno vissuto golosamente)

Powered by Sararlo 31 December 2008 ·

La consueta sclerata, senza nessun senso di colpa, di un altro anno in cui si è mangiato niente malaccio.

Fine anno tempo di bilanci e inizio di nuovo propellente per buone intenzioni (possibilmente golose).

E’ un classico.

Così come può essere un piacevole classico andare a sfogliare le pagine dei 365 giorni appena trascorsi, vissuti “gioiosamente in bilico tra vizio e virtù”, quale recita un vecchio refrain a noi caro.

Il 2008 è stata una buona annata, senza fallo, anzi.

Per motivi personali (lavoro, famiglia, vita associativa in altri lidi impegnata) abbiamo trascorso il primo semestre “ipocalorico” (ma non certo per il diktat di un qualsivoglia cardiologo o dentista).

Il secondo semestre, invero, è stato inforchettato con la baionetta al calor bianco.

E’ stata una buona annata, il 2008, e per tanti motivi.

Lungo queste (rese) gioiose 52 settimane ci siamo baloccati in scenari alquanto diversi.

Dai consueti luoghi iperstellari alle trattorie per famiglie; da nuove scoperte (alcune con buone prospettive … comete) a locali della memoria; lo abbiamo “fatto anche strano”: ci piace qui ricordare di aver desinato, a volte con piacevole sorpresa, nel retrobottega di una macelleria, così come nel back stage di un benzinaro gourmet.

Seduti in una specie di Museo con uso di Cucina (o forse era il contrario), ma anche a tavole semplici, con il “Forcheton” della Cuoca pienamente operativo sul caminetto a vista.

Vi è, nel repertorio, addirittura un’Osteria senza oste, completamente autogestita.

In un anno in cui l’ economia ha mostrato la corda, con conseguenze più o meno evidenti anche nel risto.settore, ci piace ricordare di aver osservato con attenzione anche quella fascia di mercato dove la gente va a mangiare per necessità, e non certo per sfizio gaudente come facciamo abitualmente noi sciupapiatti.

Quella specie di mini.reportage sui locali per Blue Collars ci ha preso assai, e ci siamo pure divertiti.

Abbiamo osservato con attenzione la nascita dei Ristoranti a Km.0, anche se sviluppi recenti ci fanno sorgere il dubbio che pure qua si stiano infilando più quelli che ci fanno piuttosto che quelli che ci sono.

Vedremo.

E’ stata anche un’annata in cui, innocentemente, ci siamo presi una solenne bidonata, rifilata per via indiretta, naturalmente.

Peccato per i Comparuzzi patavini che hanno spacciato lucciole per lanterne, anzi Guanciale e Arrosticini per altri improbabili intrugli succedutisi sui piatti di quei gastronomadi che abbiamo scoperto, aihmè a loro discapito, che, in un numero dispari probabilmente inferiore a tre, non solo leggono queste cronache caloriche scritte in prosa aliena, ma pure si assiedono sulla carega ancora calda del nostro ultimo passaggio.

Il teatrino dell’ assurdo seguito all’ arrosticino compare & mancato fa comunque parte del folklore di un mezzo di comunicazione come questo, sul quale gran parte di noi si balocca, altri ci passano per caso, qualcuno scatena i suoi visceri profondi ciclotimicamente ispirato.

E’stata una buona annata il 2008, condivisa in ottima compagnia: con Compari di magnate in technicolor, di carretere goliardiche, di sibaritismi eno.gourmet, di eventi divertenti che hanno anche mischiato il privato di qualcuno con il pubblico di un settore in cui, alla fine, vincono sempre la passione e il divertimento, magari abbinati ad un buon calice e a degna cilindrata gastrica, cosa alla portata di molti, ma non per tutti.

Babette 2008 è un ideale percorso attraverso le esperienze che ci hanno più divertito o che, comunque, abbiamo ritenuto più significative di questi dodici mesi.

Non vi sono classifiche; non vi è celebrato l’ assolutismo di questo piatto o di quell’altro, così come di un locale o di uno Chef rispetto al concorrente.

Cosa impossibile, peraltro, altrimenti (ma è riferito unicamente al nostro sentire e al nostro deambulare personale) bisognerebbe fare due capitoli a parte (Alajmo & Dal Vero) e poi una panoramica sul resto del mondo.

Non vuol neanche essere, codesta nota stringata, una esibizione da ego ipercalorico e ipercolorico digitale del nostro vissuto edibile, tuttaltro.

Lo scopo è quello di sempre.

La condivisione, con amici reali o virtuali, di esperienze divertenti, di cui alcune con rimarchevole valore.

Si narra di luoghi in cui sarebbe bello tornare o in cui porteremmo qualcuno di voi.

Si narra anche con il desiderio di stimolare un possibile amarcord reciproco per condividere, con chi lo desidera, esperienze altrui, possibili scoperte, dritte ghiottone da scambiarsi per il nuovo anno a venire.

Non siamo mai riusciti a dare un valore assolutistico alle cose, a stilare possibili classifiche o a dare medaglie con la presunzione dell’ infallibilità.

Non solo il gusto è personale, come ben noto ma, credo anche, nessuno di noi, vuoi gentleman writers o semplici professionisti di gastropenna, può ritenersi uno e trino sull’ orbe terracqueo e sentirsi quindi unto in esclusiva dal dono dell’ onniscenza e dell’ onnipresenza pure a tavola dove, per definizione, ci si siede per divertirsi, pur se con virtute e conoscenza.

Ah, nel caso siate eroicamente (o casualmente) arrivati sino a qui, sappiate che troverete prosa conosciuta, “ma anche” consecutio inedite; così come per le photo dove, se volete, potete già andare a sbirciare saltando tutto il resto in una specie di scheda parallela photodescritta in stile Lancio Story.

In questa ideale giornata lunga dodici mesi si parte lentamente da casa con la Bruschetta sapiente preparata dalla mano amica di Faith Willinger, questa americana naturalizzata fiorentina, anima e patron del “più buon ristorante” di Firenze.

Da Faith c’è una specie di “Casa.ostello Gourmet” e, quando ci capiti, chissà perché, c’è mezzo mondo che passa sempre di lì per caso, e a nessuno viene negato un piccolo cameo del buon vivere e del buon mangiare, in ottima compagnia cosmopolita.

Ok allora, cominciamo a sederci a tavola, con le proposte pesciste di autori diversi.

Il saluto di benvenuto ci arriva dal nostro Gattuso di lische e squame, Il Mauro da Zianigo di Mirano, conosciuto in episodi precedenti quale interprete ai massimi livelli dei tre stadi essenziali dell’ “essere ittico”: il Crudo, il Cotto e pure il Fritto. Lo spartito base rimane, abbellito da “capricci” di una Cucina che esplora anche nuovi orizzonti, ad esempio un Pomodoro “Pescatore”, cotto a bassa temperatura e farcito di gamberoni e quant’ altro. Ci fa piacere ricordare, en passant, che abbiamo avuto l’onore di descrivere l’ arte Gattusa su di una nota e prestigiosa rivista gastro.patinata, ma la citiamo giusto perché al nostro è stato dato merito e vetrina al suo talento.

Si prosegue tra i marosi offerti da Nettuno con due altre creature divertenti nel loro specifico.

Piacevole e inaspettato il rilascio lungo e salmastro delle Ostriche fritte con schiuma di patate affumicate offertaci dal Gellius di Oderzo, uno dei piatti che, sulla Carta, non ci suggeriva nulla o poco più.

Forse più convenzionale, ora, una proposta al tempo per noi ancora un po’ eretica: il connubio crostaceo caseario, quello che si può trovare dal Cecchini, “marinaio” friulano di origine patavina con il suo Pomodoro, scampi, gamberi rossi, mozzarella, bacon, erba cipollina e olio con Gelato ai crostacei in cui, da potenziali contrasti, emerge, invero, un’ ottima rotondità complessiva. Il piatto è preso, comunque, come citazione simbolica dello Chef cecchino, inserito in una parade necessariamente composita, all’ interno di una cucina in cui abbiamo trovato diversi spunti interessanti.

Da un approccio più o meno light si comincia subito a deragliare nelle giocose frattagliosità di Morgan Pasqual, pure lui un talento friulano, ma trapiantato nell’alto vicentino, con piacevoli contaminazioni terrone: uno che sa destreggiarsi bene in vari settori: dalle affumicature ai fondi di cottura tutti da pucciare a cucchiaia. Divertente quindi il suo Orzo al latte con bacalao, cannella e trippe di capesante (una rivisitazione piacevole su di un classico dimenticato: uno stravolgimento di tradizione codificata che lascia incerti all’inizio, ma poi si rivela intrigante) così come è guascona la strizzata d’ occhio alla componente sudista (per parte di moglie) della sua cucina. Infatti, quando in carta si legge “Orecchiette” con cime di rapa, burrata, ceci, pomodoro candito, si pensa anche qui ad un grande classico alternativo alle paste già pronte di Giovanni Rana.

In realtà, se ci fate caso, il virgolettato delle orecchiete sta a suggerirvi che, queste ultime, potrebbero essere anche quelle, opportunamente conciate, dell’ autentico e divin porcello. Piatto, quindi, bello, buono e giocoso, in cui lo stacco birbo e il finale gaudente te lo regala il pomodoro candito.

Si prosegue salendo di temperature, profumi e retrogusti associati.

Da Massimo Bottura non ci si annoia di sicuro soprattutto se, conoscendola, se ne sa apprezzare la tenace volontà di non fermarsi mai, di andare tecnicamente avanti guardando nello specchietto retrovisore di gusti e sapori passati.

Così ci piace rimembrare, allora, le sensazioni regalate dal Piatto del Vigneron, detto anche Ode del sottobosco.

Si presenta, all’inizio, all’occhio, anonimo come un paesaggio avvolto nella nebbia padana, ma poi si rivela tutto, anche nei colori, un po’ alla volta, con pazienza. Si va da un aglio dolce, di terra marianna, a una sporca dozzina di erbe associate, a una trifola negra che, vuoi anche per la masticazione intrigante, lega mandrillamente il tutto. Chapeau !

E arriviamo a Massimiliano Alajmo, con un piacevolissimo “Abroad” … A broad: un’ interpretazione, da citazione stravagantemente marchesiana, di percezioni fumè in chiave di fusion, ossimore di materie prime diverse.

Se fosse un quadro ricorderebbe il Gauguin polinesiano.

Se fosse un CD rientrerebbe nella categoria Wordl Music.

Ma, poiché è un piatto di Massimiliano Alajmo, ci torneremo dopo, per una riflessione specifica.

Prima passiamo per le mani ispirate del Golden Boy di Pignatta, il nostro beneamato e sempre più apprezzato, anche all’ “estero” , Ivano Dal Vero.

Inizialmente conosciuto come il Profeta delle Frattaglie, in realtà sta sempre più rivelando una felicissima mano di architetto e designer edibile. Pensiamo al Caciucco di cous.cous ma, in particolare, a un soprendente “Riso” di seppie al nero. In quest’ ultimo caso, come oramai noto, la risaglia è frutto del lavoro sulla seppia, e non certo il prodotto raccolto da mani mondine.

Abbiamo avuto la fortuna si essere seduti accanto a Garcia Santos quando se l’è pappato.

Un secondo dopo Ivano aveva il biglietto per San Sebastian e a noi c’è pure scappata una bella intervista “mangiante” al folletto basco de Lo Mejor. Anche su Ivano, il Designer Cocinero, torneremo più avanti per ricordare alcune delle sue millanta emozioni al piatto.

Il 2008 è stato un buon anno anche per i Portinari Bros.; se a Gigi è andato il giusto plauso alla sua pregevole opera di rabdomante di boccia, a Nicola la seconda stella gommata ci sta a pennello, conquistata sul campo, pardon, sui piatti, per noi da tempo..

Nicola non sarà mai uno chef mediatico alla Jamie Oliver, per fortuna, a nostro avviso, ma sa essere ambasciatore giocoso, inventivo, del suo territorio e della storia che rappresenta.

Bello allora, tra gli altri, ricordare il “pizzaiolo” Risotto alla burrata, sagace nella gestione di diverse componenti: dalla cromaticità iniziale al perfetto equilibrio di temperature e consistenze.

Ma torniamo a Massi.Max Alajmo sul quale il 2008 porta ad una riflessione per noi importante.

Come sostentuto in altra nota, per chi ha la fortuna, come lo scrivente, di una logistica che ci porta a confidenza abituale con la sua tavola, è in una certa misura sorprendente notare come questo Mozart dei fornelli abbia ancora tanta benzina e motivazione in corpo (localizzate sopratutto nel cuore e nella mente) per cui e con lui si è portati a fare un percorso multisensoriale di cui ancora non si vedono i confini, pur se la base di partenza è sempre la tavola.

La Cucina “Fusion” di Alajmo è un’ ispirazione artistica che parte dalla materialità dell’ oggetto edibile per giungere a quella certa immaterialità emozionale che coinvolge tutti i vari sensi conosciuti.

Si viaggia di occhio, di fantasia, di tattilità alimentare (pensiamo all’ ollare di pietra, alla corteccia in cui si puccia di mano ciccia sublime – provocazione straordinaria se vissuta in un tristellato, anche se stiamo parlando di un tristellato in jeans); possiamo altresì pensare a tante altre cose: alla gestione delle affumicature in primis, proposte nelle scorse collezioni culinarie.

Quest’ anno ha preso forma la collaborazione con Lorenzo Dante Ferro, uno dei pochi nasi eletti presente sul territorio nazionale.

Un creatore di essenze che, in questo caso, sono state abbinate alla tavola.

Ci piace ricordare, allora, un Alajmo tornato “giovinetto” che cita uno dei suoi primi maestri, MarcVeyrat, con Il Risotto alla lavanda, rosmarino e melone (dove si intuisce i profumi provengano essenzialmente dalla diretta presenza floreale), e un Alajmo divenuto leader riconosciuto a livello internazionale, con l’intrigante Risotto allo zafferano, amaretto e mandarino. Il bello è che uno, al primo approccio, si aspetta e ritrova le prime due componenti, la terza si libera pian piano lasciando un ricordo lungo e ferormonico al palato.

Pare di essere ad un progranma di Piero Angela, siamo invece seduti a tavola d’ eccellenza e pure ci divertiamo; basta vedere come, al tutto, venga abbinato un pignattino di rame che ti riconduce alla riappropriazione tattile della liturgia triturante.

Tuttavia l’ approccio ludico è una costante gestita con impeccabile levità, ecco allora l’ ultimo gioco con la Zuppetta di rape e bignè farciti d’ ovo da buttarci dentro e ripescare poscia qualche secondo. Perfetto, anche qui, il gioco di consistenze e temperature..

Ci sono Chef che, manco fossero ingegneri, pretendono di farti “giocare” con le loro costruzioni alimentari, impegnandoti in processi innaturali che poco hanno a che fare con lo stare a tavola (“prenda prima qui, poi lì, poi giri il polso a 47°, alzi un piede, batta l’ altro e ingoi il tutto senza respirare”).

Alle Calandre, anche se il percorso si presume concepito in materia molto cerebrale, l’ avventore completa il suo atto edibile in maniera molto semplice e naturale, diciamo pure intuitiva.

Lasciamo le entreè e i primi (quest’ anno siamo andati di jam session risarola, ma senza togliere nulla a bucatini e mezzemaniche) per addentarci tra le pietanze di rango.

L’ Astice in Carpaccio “grosso” (pare ‘na tagliata) di Mauro “Gattuso” da Zianigo rende merito alla materia prima, come da tradizione, anche se pure la Piovra con porcini e rosmarino conferma una mano felice che sa andare oltre l’occhio telemetrico quando si pesca il meglio dal mercato dell’ alba portuale.

C’è chi le nature morte le sa dipingere e c’è chi le mantiene virtualmente vive, pur se per uso alimentare e immediato.

Come si potrebbe altrimenti definire lo Scampo disossato “dal vero”, oppure l’ effetto “porcellana” regalato in stile Rosenthal dalla Triglia in bellavista?

A Ivano Dal Vero le cose vengono così, nature. Ricorda il Maradona che palleggiava per ore con una pallina fatta di stracci.

Lo Scampo era un piatto prototipo inventato lì per lì due ore prima di quando l’abbiamo poi cannibalizzato.

Speriamo sia entrato “in produzione” pure lui.

Tornando di ganascia terragna, la provocazione è conseguente.

Oramai, trovare alle tavole di eccellenza Piccione maritato con foie gras o con scampi e passion fruit è più facile che non procurarsi un coniglio verace, pure conciato a dovere come sarebbe piaciuto non tanto al vetusto Artusi, ma sicuramente al Gino nazionale, aka Veronelli …. e, quindi, il nostro percorso cicciante corre volutamente tutto sulla costellazione frattaglia.

Anche nelle case normali, adesso, è difficile incrociare quel rito (si narra anche mattutino) di un buon Salame fresco cotto nell’ aceto e cipolla. Lo abbiamo ritrovato, grazie alla Locanda da Condo, dove si sono sbizzariti aggiungendoci un’ araba fenice che sapeva di patata americana. Un bravò a questo Oste Archeologo, ma lo stesso vale anche per l’ eretica scorpacciata di “Ossi” celebratasi nella suggestiva pedemontana vicentina, nel privè della Azienda Agricola Firmino Miotti; sì, proprio lui, il Re del Torcolato più buono del mondo che pochi sanno avere un passato di norcino provetto.

Perché ricordare gli “Ossi” ? Ma perché, oramai, sono praticamente introvabili, pur se possono stare con piena dignità a qualsiasi tavola.

Un piatto ad alto valore aggiunto, anche per la simbologia che si porta appresso, ma pure per la forte empatia conviviale che “gli Ossi” sanno creare, e per millanta altri motivi per cui, ancora una volta, il Cibo è uno straordinario volano di civiltà e conoscenza che ci può far viaggiare, comodamente seduti, in molti altri mondi altrove.

Proseguiamo con il Piedino giusto, soprattutto se questo è in Crepinette suina, su carciofo e ristretto di liquirizia.

Anche qua c’è lo zampino di quel “Mascio” del Pasqual Morgan, detto 5 Sensi.

Il Piedino è, praticamente, grasso allo stato puro, avvolto nel suo retino. Da assimilare rigorosamente al cucchiaio.

Geniale l’ abbinata con il gustolungo liquirizio.

Come vedete ci stiamo inerpicando per i sentieri di un’ altra Frattaglialonga, l’ ennesima; una Frattaglialonga arlecchina, composita, di tavole e cucine diverse, ma con la stessa filosofia di base.

Bello quindi ricordare anche la Martondela ritrovata al San Martino di Scorzè (naturalmente con crema di Verze): altra creatura desaparecida dalle tavole, anche familiari, ma ben nitida nella memoria di chi ha nostalgia dei piaceri regalati da questi piatti divenuti ingiustamente carbonari.

In questo Dream Team di Frattaglia entra in pieno allora il cubotto di Fegato con finferli della Macelleria Damini; quel curioso mix di gastronomia, macelleria, paese dei balocchi con uso di cucina retrò, cioè dietro il banco.

Da concorso il suo fegato di Limousine. Il bel fegato, ciccio e pienotto senza essere foie, ma neanche scanchenico come troppe volte capita di incontrare. Anche qui l’alimentazione e la macellazione della bestia hanno la loro importanza, come da anni predica il vate romanengo e cazzamalico.

Parlavamo di Foie, ed ecco che il piatto è pronto all’ appello di comanda con salsa di fichi. patata americana croccante e liquirizia, proposto dal giovane, ma assai promettente Davide Filippetto, un altro dei Dal Vero Boys, nel suo Storie d’Amore: locale dal nome tanto improbabile ma dalla invece piacevole e concreta cucina che profuma già d’ Autore.

Bello l’impiatto, nobile il tutto (il Foie), ma “Babette certificato” per il recupero della straordinaria patata americana. Ricordo d’ infanzia per molti, forse non per tutti, specialmente quei tapini delle ultime generazioni, usi a far merendina con Fonzie e Buondì al gusto della memoria.

Se Carta Babette propone Fegato e Piedini, come non citare allora il Cuore del coniglio al forno presentatoci da Toni Forcheton ?

Privilegio guadagnato sul campo grazie ad un’ ostessa che, a seconda dell’ avventore che si trova davanti capisce già, in primis, se quel cuore magico e frattaglio lo può servire o è meglio che se lo pappi lei prima, piuttosto che trovarselo come discarica indesiderata al termine del piatto.

Tra queste vivande della speranza di memoria ritrovata, come escludere la Speranza, quella vera, ove venne celebrata la prima Frattaglialonga, nell’ oramai lontano 2004. Qua, il Dilario Mion, standogli appresso come solo un vero gastrostrippato sa fare, può tirarti fuori la Testina di agnellino al forno o le Cervella di puledro: altra roba, queste ultime, rispetto a quelle tradizionali di Vacca; più fibrose quelle puledre, burrosità di fondo uguale.

Tornando alla Testa, non è un piatto splatter, tuttaltro.

Senza necessariamente essere dotati dell’ arte cerusica di chi è uso a sezionare quotidie emifacce e mandibole è very guapo appropriarsi della lingua della bestia, della sua “ganasseta”, sentendosi quindi beccai eletti per un momento.

Il Boccone del Prete, anzi, del Cardinale, qua è il Cervelletto, giù in fondo, dietro la capa, provare per credere.

Infine, tra tanto frattagliume, si sente la necessità di un colpo d’ala, e chi meglio, allora, della Beccaccia ?

Alle leggende di Beccaccia abbiamo dedicato una prossima nota, un bignamino ad uso di lotofagi pennuti. Qua ne ricordiamo la versione simbolo, quella allo spiedo mirabilmente acconciata dal Pierino di Fara Vicentina.

Senza accorgersi abbiamo fatto slalom frattaglio tra dieci creature tutte meritevoli del posto da titolare nell’ Alma Frattaglia, lo squadrone preferito dagli aficionados di trippe e dintorni.

Anzi, andando a ripescare le “Orecchiette” di Morgan Pasqual la rosa è al completo e senza ricorrere a quel mercenario di Beckham.

Le Trippe, per una volta, possono stare a riposare in panchina.

Urge rilubrificare tutto.

Divertente allora il “Campari” di Casa Peca, con zuppetta di vaniglia e sorbetto al mandarino.

Dopo il pit stop sorbetto vai con il tappone iperglicemico.

Sui Dessert, chi ha talento e fantasia, può giocare molto ricorrendo a diverse armi, oltre a quelle consuete di puro ingrediente.

Ci sta quindi il Triramisù … e giù di Cecchini marinaio (dove è divertente la pellicola coprente usata uguale a quelle della vernice di una prima della Ferrari); così come l’ ipotetico Sole dell’ avvenire di Dal Vero, che altri non è se non un nordestino Parfait di prosecco e fragole con cuore di pesca e schiuma al Bellini; altro giro altra corsa con un classico Gorgonzola ai lamponi rossi By Alajmo, qua inserito non tanto per eccellenze particolari rispetto ad altri, ma per completare quel discorso della “Cucina Fusion” del nostro, laddove l’ ollare di pietra crea transfer tra contenente, contenuto e … ingerente.

Abbiamo avuto l’ ennesima conferma che il nostro palato, pur andando in brodo di giuggiole praticamente per tutto, ha un debole per i pistacchi. Eccone allora, tra le varie delicatessen, una versione da “design” (puro e buono) dello stilista frattaglio Dal Vero: Parfait al pistacchio con sfere di cioccolato al pepe, e c’è pure l’ interpetazione in pittura pop del Gellius archeologo: Budino pistacchio con frutti di bosco, gelato alle mandorle e fave di Tonka.     

La scala di un piacere alla Wanda Osiris ci porta a risalire i gradini dell’ (ennesimo) Gioccolato made in Calandre.

Tenere botta per sei o sette edizioni non è cosa facile.

E’ una questione di geometrie variabili che passano attraverso più o meno classici In.gredienti, ma anche composizioni archeoedibili che rendano ludico il … Gioccolato appunto.

Nel millesimo 2008, comunque, un plauso alla Fava essenziale, quella che si trova, al termine della maratona, custodita dentro un piccolo scrigno che le rende tutto il suo valore.

A noi ha dato un po’ la sensazione, piacevolissima peraltro, del famoso monolite kubrichiano dell’ Odissea duemilaeuna.

Vedremo quindi, nel 2009, quale sarà l’evoluzione della specie.

Siamo sui titoli di coda, oramai; la spanzata è stata veramente di quelle da mille e una notte, anche se compressa in una teorica 24 ore prandiale che abbraccia 365 meridiane del gusto.

Poiché sarebbe da stolti, con tanto bendidddio, diluire il tutto in pura acqua, alcune note di contorno e di Bacco.

Stare qui a parlare di eccellenze di boccia esula dallo scopo di queste quattro note messe in croce, tuttavia un merito è dovuto alle due super serate “bollari” volute dal Calandre Team: l’una a tutto Dom.Pe e l’altra Bollinger ispirata.

Su lande straniere ci piace ricordare anche, ripescato tra una bolla e l’altra, un ottimo Gigondas (Domaine Les Palliés), tuttavia ci preme rendere onore e merito a qualche piccola chicca autoctona che abbiamo incrociato, come accennato in precedenza, presso la cantina peca e quella dell’ aurilio per antonomasia, Ferdinando De Marchi, di Loreggia.

Gigi Portinari, tra le varie eccellenze conosciute e sconosciute di una Carta monumentale, ci ha deliziato con il Nanni, roba locale di degno cugino, così come con altre cose toste, spremute mai oltre il raggio di una cinquantina di 50na di Km. Altro Primero Sommeliero è stato l’Aurilio, dicevamo, con un performante Manzoni Bianco di tale Bonollo, un carneade vicentino divenuto ora una delle nostre etichette del cuore.

Idem dicasi per un umilissimo Prosecco sur lie “de casa”, in mescita da Condo e tuning by un certo Massimo Merotto.

Si ragiona, in tutti i casi, di tirature minimali; ma è proprio qua il bello: cercar pepite proposte da rabdomanti sicuri e appassionati.

Un ricordo al Francescano Beppe Palmieri, di cui non citiamo, quest’anno, etichetta eletta, ma solo per una questione di necessaria stringatezza.

Questa lunga marathona babettiana volge al termine, inziata la mattina presto con la bruschetta “americana” di fiorentina doc.

Abbiamo detto che siamo tra palati forti, dalla cilindrata gastrica indistruttibile e quindi, al fare dell’alba del giorno che verrà, un saluto è d’ obbligo come si fa tra vecchi amici.

Capita, nelle case, come nei locali dove il cucinare e arredare il desco non è solo mero mercimonio, che ci si riunisca assieme, a fine percorso, per farsi quattro chiacchiere in libertà; per far incrociare i propri animi e qualche calice, giusto così, perché lo stare a tavola, come detto in antecedenza, ha una valenza che va oltre il puro atto edibile.

La convivialità affratella e accomuna, o almeno così dovrebbe essere.

Sarà l’ennesima citazione calandra, per carità, ma la valenza simbolica la giustifica tutta, con quei pentolini di zabaglione preparati lì per lì e con la focaccia messa a far scarpetta sul far della staffa.

Ci brindiamo con il nostro shampoo preferito, ovviamente.

E’ una filosofia di vita, positiva, che, anche dopo la peccataglia più impenitente, ti fa affrontare con il sorriso il tuo prossimo e il giorno (o l’anno) che verrà. Un buon anno, per tutti, ovviamente, e in particolare per quel gatto solitario che, assai improbabilmente, sarà arrivato sino a quest’ ultima strofa, leccandosi, speriamo sazio, i baffi ghiottoni.

 

Si fa prima, naturalmente, a vedere la scheda in stile Lancio Story su

http://www.facebook.com/home.php?#/album.php?aid=95161&id=47476560539

Il nostro palato ringrazia, in ordine di sparizione nella propria panza:

 

FAITH WILLINGER – Casa Propria – Firenze

VECIA OSTERIA DA MAURO – Zianigo di Mirano (VE) – Tel. 041 – 5703003

GELLIUS – Oderzo (TV) – Tel. 0422 – 713577

IL CECCHINI – Pasiano di Prodenone (PN) – Tel. 0434 – 610668

5 SENSI – Malo (VI) – Tel. 0445 – 607976

OSTERIA FRANCESCANA – Modena – Tel. 059 – 210118

LE CALANDRE – Sarmeola di Rubano (PD) – Tel. 049 – 630303

DALVERO – Badoere di Morgano (TV) – Tel. 0422 – 739614

LA PECA – Lonigo (VI) – Tel. 0444 – 830214

LOCANDA DA CONDO – Farra di Soligo (TV) – Tel. 0438 – 898106

AZ. AGRICOLA FIRMINO MIOTTI – Breganze (VI)

SAN MARTINO – Scorzè (VE) – Tel. 041 – 5840648

DAMINI MACELLERIA & AFFINI – Arzignano (VI) – Tel. 0444 – 452914

STORIE D’AMORE – Borgoricco (PD) – Tel. 049 – 9336523

TONI FORCHETON – Ciano del Montello (TV) – Tel. 0423 - 84147

ALLA SPERANZA – Castelfranco Veneto (TV) – Tel. 0423 – 494480

TRATTORIA POZZAN DA PIERINO – Fara Vicentina (VI) – Tel. 0445 - 897888

LOCANDA AURILIA – Loreggia (PD) – Tel. 049 - 930067

Categoria: Sararliche

Tags: Babette

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