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DA VITTORIO - Bergamo

Powered by Sararlo 23 July 2004 ·

E' stata la mia prima Rece su Idr, e quindi l' esordio in un mondo virtuale che conoscevo da poco. A distanza di memoria è bello ricordare la grande figura di Vittorio Cerea nella sua prima sede, quella che lo ha reso famoso. Un anno dopo, questo amabile signore è passato nel mondo dei più. Ora la sua bella famiglia prosegue poco più in là, a Brusaporto, il lavoro che porterà, comunque e per sempre l' impronta di papà Vittorio.

Vittorio Feltri, parlando del suo omonimo ristorante orobico, una volta ebbe a dire che, da Vittorio, si va per vedere ed essere visti, a testimonianza di solidità economica dell’ avventore, vera o presunta. Noi ci siamo andati, invece, solo per mangiare, anche perché orobici non siamo e quindi non dovevamo dimostrare niente a nessuno se non al nostro palato in trasferta.

Posto sulla mainstreet che sale a Bergamo Alta, già dall’inizio vi fa capire che l’ospitalità è considerata ancora importante anche se solo per facilitar parcheggi. Infatti amabile non autoctono in livrea d’ordinanza vi scorta dalla vettura, che penserà lui a gestire,  fino all’entrata di augusto locale.

Essendoci già capitati in inverno, in estate abbiamo colto atmosfera molto più informale Non solo è spalancata la porta d’ingresso con tutta le mercanzia in bella vista (i Cerea sono imperatori anche nel campo del catering e del merchandising mangereccio) anche, volendo, esposta ad essere facile preda di mano lesta ed affamata, ma questo si verifica anche per  tutta la Sala che guarda in strada ed è…. guardata. Chissà perchè la Sala con  aria condizionata a livello polare è nel retro. A naso, quella in cui la privacy sarebbe un  po’ più importante ha tutte  le  porte a vetri aperte, sì che non solo chi passeggia può veder cosa sta mangiando
il Commendator Rossi, ma anche può prendere palesemente atto che il Ragionier Bianchi sta sbirciando avidamente il decolletè di quella che non sembra sua cugina…insomma con tutto quello che ci stanno a perseguitare sulla privacy,  qua la manica è un po’ larga...

Scelta la sala polare, ma unicamente perchè non ci andava di essere esposti in vetrina come una starlette qualsiasi nella Via Veneto della dolce vita, abbiamo scelto che di dolce doveva esserci soltanto l’abbordaggio a cucina e cantina.

Rinomato per la proposta ittica, da Vittorio è, in effetti , meta certa e consolidata in un largo raggio d’azione. Tuttavia…

Tuttavia dopo aver cambiato due tre volte tavolo alla ricerca di quello confacente, abbiamo chiesto, alla consueta apertura champagnotta, di procedere al rito del Kir Reverse, che non è una procedura della toilette, pardon roulette a Las Vegas, ma un amabile modo inventato da quattro mattacchioni della tavola di godersi classico Kir Royale. Allora, la procedura prevede di versare sul Cassis regolare sciampagna ma, invertendo i termini, il prodotto cambia, nel senso che le consistenze diverse creano un gioco di colori che vi rallegra alla filosofia del degustar giocando; al gusto, infatti, nulla cambia. La sorte vuole che improvvidi garcons de Sale inizino a versare il Cassis a Champagne ancora fumante; nulla di peggio. Abbiamo dovuto chiedere bis sillabando pazientemente i tempi di assemblaggio per avere degno Reverse. Direte: c’est la vie. OK.

Si presenta il buon Vittorio Cerea, capostipite della dinastia. Anche se non vi ha mai visto sembra che sia stato ieri al vostro matrimonio, l’altro ieri alla cresima e via battesimando.

Si concorda che, come da tradizione, farà la maison , non dopo aver chiesto, in questo tempio di Nettuno, una piccola ma sfiziosa proposta manzesca che vedremo dopo.

Si sceglie con che vino iniziare jam session ghiottona. La carta è ben rappresentata, ma senza guizzi che fanno allappar papilla. Considerato che Radikon e Gravner non possono non mancare in tale location, così come una Cayenne a Montenapo o una Harley a Santa Margherita , si opta per piccola chicca ( una delle poche, invero) che non trovi al supermarket : Olivar di Cesconi  2000, un mix di Chardonnay, Pinot Gris & White, che marcia la bellezza di 15° gradi. Altro neo di servizio di sala probabilmente astemio. La bottiglia è servita a temperatura glaciale, quindi letteralmente sodomizzata nella sua tipicità. Inoltre, c’è il maldestro tentativo di servirla su bicchiere da prosechìn,  e bisogna chiedere espressamente Riedel adatto alla bisogna. Rinunciamo a chiedere di scaraffarlo, tanto perchè prenda prima possibile calore, spaventati dal fatto che, pur di arrivare a soddisfare il cliente, mettano la boccia nel microonde.

Si principia con adeguata  trispiattata lestamente declamata anagraficamente.

Una Frittatina di gamberi su crema di peperoncino; classico Bicchierino con succo di pomodoro e fogliolina di basilico e Micropolpette di maiale fritto …della sagra, ossia chips di maiale leggermente dolcificate e caramellate, come nelle sagre dei patroni d’antan. Una proposta divertente, mentre le prime due un po’ di scuola, senza spreco di fantasia.

Segue pokerata. La Millefoglie di  tonno con crema di pomodoro pare un piccolo tramezzino ittico, piacevole senz’altro anche solo alla presentazione, così come la
mignonette rappresentata dalla Spuma di latte con salmone candito, pomodoro confit e foglie di pesca grattugiata. Il mini Astice alla catalana rende ragione alla fama ultratrentennale di Cerea & co., fa pure dimenticare la minchiata del Cesconi, anche se à creatura tarda a riprendere colore, pardon, temperatura, e quindi non se possono apprezzare appieno la grandi potenzialità.

Carpaccio di branzino con gelatina d bouillabasse,  salsa ajoli e una che sembra salsa rosa. Da Oscar:, veramente perfetto, non solo per la presentazione, le
cromaticità: una gran bel puzzle edibile che lo fa ricordare.

Un tocco patriottico: il Moscardino con  polenta bergamasca; non dimentichiamo che siamo a Berghèm, padania plena..

La giapponesina che le sbaglia tutte (le fanno portare solo il pane, meschina, ma la pronuncia è ancora in progress, tanto che ha praticamente un assistente al seguito che la corregge ad ogni momento con puntuale traduzione) porta come intermezzo una Focaccina alla crescenza e ai semi di sesamo che vi verrebbe da papparvela tutta,  la focaccina, non la geisha, eh.

Il gioco comincia a farsi duro; l’Olivar ha ceduto tutto il suo nettare, bisogna passare ad altro.

Arriva una delle curiosità della serata: Risotto con carpaccio di fassone e “petali” di grana padano. Allora. Da fuori pare una gran polpetta, non un polpettone, ma proprio una gran pezzo di polpetta, un po’ come l’Ubalda, tutta ... e calda, di cinematografica memoria. Attorno “petali” ( scaglie)  di grana padano (siamo o no a Berghèm?). Ma vi ricordate della Carta che canta : …”Risotto”, etc,etc,. Squartate la polpetta, pensate all’Ubalda e vi beate di tanto calore che viene dall’interno di un Risotto mirabilmente conciato e mantecato con grana medesimo. Il Carpaccio di fassone crea un vello che, mischiato al contenuto del piatto, diventa un mix carnale; una delle migliori attrazioni di una serata tutto pesce. Bravi, veramente. Un plauso a Chicco Cerea, uno dei tre moschettieri di papà Vittorio che, nella tradizionale cucina cresciuta a pinne e squame, ha saputo inserire anche qualche provocazione di terraferma.

Ah, come vino si scende di parallelo per approdare al Trebbiamo 2001 di Valentini. Stavolta la temperatura era enologically correct, probabilmente, nel frattempo, avranno portato tutte le bottiglie dei bianchi in strada a prender aria, ma lui, il Trebbiano, è ancora un bambino; non ha l’equilibrio maestoso e ruspante dei  fratellini maggiori (avevamo provato, alcuni giorni prima, quello targato ’98). Aniway, si procede, il palato non è sazio; la crescenza dei prossimi arrivi è tenuta rigorosamente celata, meglio dei vincitori del Sanremo canoro. Ecco, si materializza il Gran fritto di mare all’olio d’ oliva. Cè di tutto: scampi, gamberoni, verzure assortite, financo potatoes a filamenti manco fossero zucchero filato e pur anche piccole pepite di ananassi fritti. Servito in grande vassoio, è un piacere piluccarci entro avec les mains, cibandosi nature di materia prima eletta.

Segue poi un Branzino al vapore in crosta di pane salato. Bello, ma un po’ di scuola.

Bene, con gli amouse bouche ci siamo sbizzarriti;  soddisfatti dalle entrate principali. Adesso the challenge è con i Dessert. Mano libera alla Cucina, ça va san dire, in questo caso la mano passa ad un altro Vittorio’s Boy, il giovane Bobo, che, assieme al fratello, è entrato nei Jeunes Restaurateurs d’Europe.

Un alluvione. Tegole caramellate all’arancia e sigarette di cannella e zucchero; Nido speziato al cioccolato con salza gazpacho e frutto della passione; Mousse al mascarpone e fritto di salvia ( divertente); Panna cotta e gelatina al lampone e gelato wasabi; Creme brulè al caffè (ottima, veramente); Lecca-lecca di eucalipto e pepe rosa ( simili a quelle pastelle gommose che vi davano quando andavate a dottrina, comunque curiosi e piacevoli); Cremosità di gianduia e cioccolato (molto buono). Attenzione, uno pensa a Gargantua e Pantagruel, in realtà tutti piccoli assaggi , gestiti e proposti in maniera piacevole ed efficace. Finalmente la temperatura glaciale della cantina si sposa alla perfezione con la proposta della casa: un ottimo Tokay Dobogo ‘97 che fa concludere in bellezza un’esperienza varia e divertente.

Alla fine, il cortese tutor che ci ha seguito lungo la serata, preso da bisogno di confidenza o credendo che da noi dipendessero stelle e comete, ha cominciato a raccontarci la sua storia, farcita anche con episodi agghiaccianti pure di vissuto dentistico e domestico. Forse è anche per questo che il Dobogo ha trovato facile via all’oblio nelle ugole assetate di fine pasto.

Cordialmente il Cerea Vittorio si inclina a saluto finale, manco fossimo o’ Papa o Vittorio Feltri,  addirittura dimenticandosi ( con nonchalance ?) di  far presentare il conto che, pensando noi di ritornarci  ancora, è stato cortesemente sollecitato.

Che dire di Vittorio( ristorante). Certamente il locale è solido e la clientela non manca tuttavia, come quelle istituzioni di lungo corso che spesso sanno come, magari anche di bolina, ma che avranno sempre il vento a favore, pecca su alcune smagliature che altri vicino (per esempio l’Osteria di Via Solata, in Bergamo alta) sanno espletare al meglio.

Le finestre aperte sulla strada di passo, con la pupilla del clochard che può posarsi sul vostro foie gras, è di una nonchalanche trasteverina o da calle veneziana evitabile. Il servizio è puntuale e cortese, ma sul vino le pecche sono state abbastanza marchiane (anche se, ad onor del vero, mancava il Cerea titolare di passport enoico, Francesco). Tuttavia bisogna anche  dire che non si è notata una scelta mirata, frutto di ricerca e passione. Sembra quasi che la Carta sia stata compilata dal fornitore dietro l’angolo e dal proprio commercialista, probabilmente astemio, senza passione e trasporto, cioè senza eno-ormoni, perché, come
dice un vecchio rimba della piùbblicità, il buon Tonino Guerra, gli ormoni sono il sale della vita.

Anche la conservazione e relativa presentazione dei vini è discutibile; vi vien da pensare che vengano tutti conservati nella ghiacciaia, assieme a scampi e branzini.
Sarebbe curioso fare un tasting, in simili condizioni, di uno Chateau Ausone o di un Amarone del ’56 glacè. Forse li usano per “dare spirito” a qualche insalata di ananassi e mandinghi (pardon, mambi, cioè no, Manghi).  

Ecco allora che la pur intelligente differenziazione della proposta della Cerea spa ( pasticceria, catering, ristorante “normale”, in altra sede), atta a spalmare su più  realtà la forza della originaria  proposta di alta gamma, deve un pochettino forse stare più attenta anche al corso delle cose, al mutare del gusto (non tutti vanno per vedere ed esser visti), ma anche alla mutata realtà di concorrenza: concorrenza prossima e non Ventura, coma la Simona, ma viciniore sempre più affinata e competente.

Ah, dimenticavo, il volgare risvolto economico. Chiaramente questa cena si è basata sulla assoluta complicità di due avventori senza se e senza ma. Da valutare, in situazioni normali,  un entry level attorno ai 150 Euro, considerando un menù degustazione a 110 euro e lasciando in cantina i Sauternes del ‘29 o i Dompe(rignon) del ‘56.

Da Vittorio - Via Giovanni XXIII, 21 - Bergamo
Tel. 035.218060
Chiuso il mercoledì e 20 giorni in Agosto.

Categoria: Sararlo Graffiti

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