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RISTORANTE SAN MARTINO - Scorzè (VE)

Powered by Sararlo 05 December 2008 ·

Se foste un qualsiasi Magellano di Gola alle prese con la vostra carta di navigazione gastronautica e vi trovaste, tra le risorgive del Sile, lì dove le tre province di Treviso, Padova e Venezia si attorcigliano tra loro, potrebbe essere ardua la scelta tentatrice tra locali quasi condòmini di territorio.

Con l’ideale compasso, pur con il braccino corto che disegna un raggio all’ intorno di 5km., sono almeno 4 i posti del possibile divertimento gastronomade.

Escludiamo Dal Vero, fuoriclassifica; da un lato c’è uno Zamboni che, ultimamente, ha agguerrito i tegami di ambizione culinaria; poco sotto, nel padovano nord.orientale, possiamo cogliere i sapori di quella Rosa del Sile dai piatti semplici ma che non fanno certo rimpiangere una scelta apparentemente minimalista.

Nel veneziano della porta accanto, e più precisamente a Rio S.Martino, trovasi invece una “vecchia quercia” che da anni si è ritagliata il suo spazio, con merito.

In omaggio al patrono di questa frazione di Scorzè scorgiamo, a prua della gastromobile, il Ristorante San Martino, gestito da Michela e Raffaele Ros.

Desco di tradizione, con una sua storia e un percorso coerenti nel tempo.

Da una semplice trattoria di borgata bravura e, diciamolo, ambizione di fare sempre al meglio, hanno portato i coniugi Ros ad essere una meta sicura, come testimoniato non tanto (o non solo) dal collage di patacche guidarole sulla porta d’ingresso, o per il fatto di essere una delle ambasciate della  Dogale Confraternita del Baccalà, ma dall’ esperienza pratica per cui, raramente, la loro tavola può disattendere il gusto del viandante di passo.

Locale, dicevamo, che ha avuto un wendersiano cammino nel corso del tempo.

Non ci sono più i blue collar; arredo e cristalli di fiandra sono al loro posto, senza eccedere, con quel tanto che basta a far degna cornice a quello che arriva dai fornelli.

Ci siamo avviati, come da tradizione, lungo un percorso di slalom alla Paolino Chiesa, tra le bandierine dei due Degustazione a tema e della Carta regolamentare.

Al desco novembrino, infatti, la maison si concentra in particolare sulla Linea Baccalà così come su quella altrettanto tradizionale di Oca e Radicchio.

La Cornucopia di baccalà mantecato, su salsa di olive taggiasche, sta a questo locale come Passatine e Cappuccini ad altri templi del gusto; qua forse siamo in un tempietto tra le risorgive, ma ritrovare la Cornucopia è sempre divertente.

La citazione classico archelogica verrebbe scambiata da vostro figlio come un cornetto helado dove, invece di trovarvi la pallozza di pistacchio, ci sta una mestolata di bacalao scapigliato, una specie di gelato caldo, insomma.

A fare pendant salsa ai porri, misticanza, fiches di polentina calda. Un grande classico, che non guasta mai.

Si viaggia di territorio terragno con la Terrina di fegatelli d’oca.

Un belpiatto; in sostanza una formella di fegatelli pennuti che te gustano mucho. Potrebbero tranquillamente vivere di loro senza l’effetto tramezzino donato dal pan brioche o i croissant alle castagne. Molto interessante, in accessorio, la riduzione di fichi e prugne.

Far tornar bambino uno con la peterpanite cronica basta niente, ad esempio un Pan cotto d’oca, nel suo brodo ristretto.

Un grande classico d’antan con una specie di fricò di parmesan del Piave.

Il pàn l’è bòn; il ristretto d’oca è un po’ figlio di ’sti tempi tendenzialmente troppo velinari e tronisti.

Broda troppo Light per i nostri gusti, un po’ più all‘ Alvaro er laido non  sarebbe stato male.

Ma, oramai, con lo stomaco pezzato di cuoio siamo rimasti in pochi, bisogna prenderne stoicamente atto.

Pàn-ta rei, appunto.

Con Madama Sommeliera si comincia a giocare un po’.

Le si legge nella pupilla curiosa il cercar di decifrare a quale possibile sedicente who’s who appartenga chi gli sia davanti; tuttavia sta al gioco e quindi si stappa un po’ qua un po’ la, tra una degustazione al bicchiere ricca di una cantina costruita pazientemente negli anni.

Si discute anche del meno e del più; di questa faticosa ricerca di un teorico Km.0 che, un tempo, era realtà acquisita.

Adesso devi aspettare che l’occhio del Grande Fratello Asl si giri dall’altro lato per andarti a pigliare l’ungulato dal Toni e la pennuta dalla Maria, infatti “quell’Oca della Maria” sta ad indicare un segno di appartenenza e ceduta proprietà, non è un volgare epiteto da comparse del non saranno mai famosi.

Si prosegue la marathona a tachimetro fermo (o quasi) con il Risotto carnaroli al radicchio (del posto) e raboso.

Il Carnarùl è di Eraclea, primissimo entroterra dogale. Il tutto è bello, di sostanza, e presentato pure bene nella sua semplicità.

L’architettura edibile non sempre ha bisogno del Gaudì di turno.

Un po’ d’amore, un pizzico di  buon gusto e il piatto è fatto.

Dicevamo della peterpanite.

Dal mantello di Raffaele Ros esce ‘na roba per cui qualcuno è stato fatto Cavaliere (della res pubica) per molto meno.

Martondela su crema di verza e radicchio in tempura.

Per chi traccheggia nel west-south esterno ai territori di Padanialand la Martondela è mirabile trituraglia di avanzi suini avvolti nel retino del divin porcello.

Per chi, invece, camminava con gli zoccoli tra gli alberi, ogni cascina aveva una sua ricetta; ogni norcino forniva quel tocco in più che poi l’amore delle mamme e delle nonne avvolgeva di  leggenda nel biancoenero della memoria, di quelle madeleine dell’ amarcord orgasmolettico date in dote ai pargoli cresciuti prima che sorgesse la stella di Negroni tanto magnificata dai caroselli Brutos.

Qua il norcino non più è el Bepi “onto”, ma quei bravi artigiani dei fratelli Cesare e Giacomo  De Stefani.

La Martondela è in versione classica: con polmone, fegato e uvetta.  Semplicemente spettacolare.

Il retino, trattato sapientemente, è pressochè impercettibile.

Benissimo la tempura cicoria e radicchia. Conseguente la verza.

Forse, anzi, sicuramente è la petardata del giorno.

Sempre quell’ “Oca della Maria” ci viene a raccontare un’ altra storia, roba tosta, quasi da piatto unico.

Si narra infatti di Oca ai sapori autunnali.

Consultiamo il meridiano di Greenwich: non è ancora Natale sul calendario, ma lo è qui, sul piatto.

Anche se l’Oca fosse virtuale, pura voce anagrafica sulla Carta, ve ne é da cesto natalizio: truffe noir, marroni, funghi, radicchio, carote, sedano e vai che ci dò.

A proposito, l’ossimoro, nella vita, è sempre divertentemente in agguato.

L’azienda che produce l’Oca per noi giulivi è, in realtà,  targata “La Fagiana”…

Comunque, sul piatto, era Oca.

Con Donna Michela abbiamo deciso che il Rosso di giornata è un tosto Villa Gemma del 2000, un Montepulciano d’ Abruzzo pigiato da tale Masciarelli, tra l’altro, come gli altri, servito con una specie di vespasiano vinario, di esclusiva importazione che dicesi esalti i profumi del prontostappo..

Si dessertizza un po’, tanto per sgrassarci le cavità orali varie.

Del tris prescelto meritano citazione degli ottimi Dolcetti croccanti ripieni di frutta rossa con gelato al fior di latte, anche se il podio del Certamen Dulce & San Martino se lo beccano le Pere glassate al ramandolo su miele di robinia, gelato al gorgonzola e sedano candito (quest’ultimo, si presume, per darci il buffetto salutista).

Il San Martino è buon locale.

Si colloca in quella fascia media che deve cimentarsi con diverse variabili.

Non è più una Trattoria del quotidiano, dal quale è partita, impegnandosi in un percorso la cui meta   era il consolidamento come locale del buon riferimento territoriale. Adesso i Km. 0 stanno diventando un logo a rischio di strumentalizzazione ma, il vero Cocinero, i quattropassi li ha sempre fatti all’intorno per procurarsi il meglio che la sua terra può donare e gli artigiani  della porta accanto sanno trasformare.

Ros, in questo, è la persona giusta.

Un Oriali di pignatta? mah, forse, certamente un professionista serio che guarda la sua quotidianità d’intorno con occhio molto attento.

Qui siamo tra le risorgive del Piave, come dicevamo. E quindi è tutto un labirinto di rigagnoli tra li campi e le rogge. Ci ha epatato la fantasia la descrizione di un percorso tra le erbe del territorio tramutato poi, ai piatti, da  Raffaele “Martino” Ros. Un Menù  primaverile di erbette che si è dipanato tra Acetosa, Piantaggine, Artemisia, Erba viperina, Sedanina d’acqua.

Incuriositi alquanto, oltre le colonne d’ Ercole di gola, attendiamo che primavera ritorni per la bisogna.

E chi ve lo fare di spaccarvi le meningi (e qualcosaltro) a cercare  agneaux presalè o il coccodrillo della Camargue quando un bravo Chef , specialmente “territoriale”, può essere il miglior ambasciatore proprio della sua gente, delle sue storie e tradizioni di cui le migliori, chissà perché, passano sempre per i Sentieri della Gola.

 

RISTORANTE SAN MARTINO

Piazza Cesare Cappelletto, 1

Località Rio San Martino – Scorzè (VE)

Tel.041 – 5840648

www.ristorantesanmartino.it

Chiude il mercoledì.

 

Il Menù Bacalao (5 portate) è a 50€

Il Menù Oca e Radicchio (6 portate) èa 40€

Antipasti: 10-14€ - Primi: 10-13€ - Secondi: 15-20€

Sono segnalati alcuni piatti preparati espressamente per chi ha intolleranza al Glutine

 

Categoria: Sararlo Graffiti

Tags: Raffaele Ros

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