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LA FRATTAGLIALONGA - Atto I°

Powered by Sararlo 11 March 2004 ·

Recuperiamo dagli archivi  della Eiar un vecchio testo scritto nel marzo del 2004, finora inedito.
E’ la celebrazione della nascita di un mito, la Frattaglialonga, divenuta culto per quei palati colti, impropriamente definiti sciupapiatti.
Si è trattato anche di una pregevole Enocorrida, a ben vedere.
Chiaramente il tutto è stato possibile grazie all’ indispensabile materia prima fornita dal Cazzamali Franco di Romanengo e grazie al mitico Dilario, l’ Ultimo Oste, in una Trattoria di resistenza umana, Alla Speranza.
Nomem omen, come sempre. 

LA FRATTAGLIALONGA
(Marcia non competitiva e non salutista tra tagli, ritagli e frattaglie…)


Come è vero che tutto può nascere per caso.
Premessa:  la Storia che segue è vera; i fatti e i personaggi sono reali e, a tuttoggi, in (apparente) buona salute.
Tuttavia, se per motivi morali, religiosi o culturali non approvate la scelta che l’homo erectus può cibarsi anche di frattaglie, saltate queste pagine.

Allora, torniamo a bomba, anzi, al quinto quarto.
Chi ci legge sa già che la nostra vita è cambiata, in meglio, da quando abbiamo conosciuto  Cazzamali Franco, il Re del Quinto Quarto, Beccaio in quel di Romanengo.
E’ vero, amavamo la trippa e tutto quanto ad essa correlato: Rognoni, Animelle, Cervella in frattagliosa e gaudente complicità, ma non sapevamo che, in realtà, l’universo di tanta beatitudo, quello vero, era ancora tutto da scoprire; come Star Trek eravamo  fermi alla prima serie.

Sapete già, anche, di quella piccola ma romantica realtà rappresentata dall’Osteria alla Speranza, tavoli per palati rudi e puri, street workers per intenderci, ma dove un uomo, il Dilario, con la semplicità dei giusti, continuava a tener vivi piatti altrimenti consegnati all’oblio.

Due più due può fare quattro, ma anche cinque, o sei, o più se siete fortunati…e  Frattaglialonga fu.

Procediamo con ordine.
Un giovedì qualsiasi in uno Studio qualsiasi. Suona il telefono.
“Dotòr gò a Fongadina”.
L’accordo era di lunga data. La Fongadina è antica preparazione artigiana atta a descrivere il Polmone bollito, leccornia dei tempi che furono, dai Dogi a Giolitti, tanto per intenderci: oggi dimenticata, come il Diaframma, che ha trovato il suo Virgilio sui sentieri del tempo nel succitato Cazzamali Franco; “Il Cazza” per gli amici.

Una Fongadina non si può mangiare così: Cenerentola e umile frattaglia è stata nobilitata per una sera a Principessa attorniata  da degna corte.
Partono le telefonate, un po’ come una chiamata di correo verso palati sicuri per questa Cannonball tra Tagli, Ritagli e Frattaglie e un po’ anche per comporre l’orchestra consona alla serata che si andava a preparare ai fornelli.

L’Esofago l’avevamo già (fresco cadeau del Cazza); Il Dilario, da par suo, provvede ad altro; chi scrive telefona a Romanengo, Romanengo raccoglie il messaggio. Sempre chi scrive, due giorni dopo, di ritorno da congresso milanese devia per la paullese, carica l’ammiraglia tedesca di ogni frattagliosa leccornia e scarica davanti ad un esterefatto Dilario mattanza varia per la Cena a venire.
(Per semplicità di lettura, tutte le frattagliose pepite del Franco avranno la © di riconoscimento).

Si parte lentamente, come un sonetto di Mozart: Salamella di Maiale, cruda ©:  praticamente un piatto al cucchiaio, come i dessert. Viene abbinata a uno Jare 2001 Riserva, il magico Prosecco nature di Daniele Agostinetto, laddove i palati erano stati prelubrificati da un Dompe ‘95 Magnum portato in omaggio al rito frattagliante da un giovane tristellato padovano.

Si prosegue, scorrendo un po’ qua un po’ la per anatomie di quadrupedi vaccini, suini ed equini.
Insalata di Esofago. Altra mirabilia del ©. La cosa va approfondita. Allora, l’Esofago viene bollito, tagliato a rondelle, messo in frigo per 24 ore leggermente pressato a sandwich tra velluti di cipolle rosse di Tropea.
Intrigante, la comune struttura formata da muscolatura liscia fa ricordar la lingua, ma qui siamo qualche centimetro più sotto.

Secondo voi cos’ hanno in comune l’emiliana Serena Grandi e una Fassona piemontese ? …pensate in grande…Ok avete capito.
Tetta Bollita, una mirabilia che solo abili mani del © potevano plasmare ad arte, altro che Pitanguy .
La sorpresa è duplice. Primo perché, quando inviti qualcuno a mangiare “anche la tetta”  ti puoi sentir rispondere che lui “quelle robe lì non le fa” (?!?), secondo perché l’orgia frattagliante è un piacere sempre più raro.
Tette, tette vere, non c’entra il silicone: nel succhiarle vi par quasi di sentire lieve retrogusto latteo…e vi vien da muggire di gioia come un lattonzolo felice.
Il segreto? Devono essere selezionate da giovenche che hanno avuto al massimo due gravidanze, “prese” a fine allattamento, sì che non vi siano fibrosità da mastiti o altro, in quanto la magia del “pezzo” (oltre alla sua evocatività ancestrale) è dovuto ad amabile intreccio di fibre e tessuto ghiandolare. Da provare, veramente.

Si prosegue,  l’atmosfera si colora di aneddoti, storielle, resi grevi dal tema sul piatto.
Palati in erezione piena in attesa della prossima…Insalata di Nervetti, stavolta Hope-made, by Speranza House.
Quelli veri, legittimi, appena tiepidi, d’allappo innocente, eppure sapido come si trovava un tempo nelle vinatterie, che ora  invece recitano “Enoteca”  con Pixi e Dixie cellofanati a latere (beh, magari pixi no, ma Fonzie sicuro).
Il Groppello di Firmino Miotti ha condotto entrambe le danze. Ottimale nella sua  ruvidezza autoctona; erbaceo, un vino vero, insomma, per piatti veri.
Bene, si lascia il campobase e si sale, prossima fermata i Risotti.
E’ un derby come quelli all’ombra della Mole o della Madunina. Che dire: tifare per quello  “cum” Schienali, magistralmente ricordati nei migliori amarcord paoliniani, che sanno di Romagna e Sangiovese, o un più padano Risotto con le Trippe?.
Forse neanche Gioàn Brera, fu Carlo, saprebbe districarsi in tanto guazzabuglio emozional-palatale. Le Trippe non erano del ©, ma ugualmente talmente dignitose da non venir abbinate a parmesàn, e non certo per pudori calorici… gli Schienali erano rigorosamente targati  ©, of course, by Fassona Doc.

Ancora adesso, tra lo squadrone degli undici commensali, la questione è aperta…non resterà che rifarne bis, tenendo anche conto che le idee erano ulteriormente confuse da un nordico Valcalepio (Cabernet Orobico) a  far gli onori d’allappo agli schienali, mentre il calore di un Nero d’Avola corroborava retrogusto trippaiolo.

Ecco, entra la Principessa: Lady Fongadina.
Per molti dei convenuti, pur palati di lungo corso, era debutto inspirato a…pieni polmoni.

Plurime le chiavi di lettura: pur a palato lievemente provato, se ne apprezzava la consistenza, leggermente spugnosa, con  retrogusti ferrosi  per qualcuno; altri l’hanno definita una versione “macho”, nella consistenza, di più terragne lumache.
Sparring  partner una Granache de Espagna che ha dato il tocco internazionale ad una creatura di salde radici autoctone.

Si prosegue, avevamo detto o no che Frattaglialonga era? E Frattaglialonga sia!
Indovina indovinello, cosa c’è avanti al polmone bello? Ma la Tettina suvvia, più bella che pria, anche perché, provata in ouverture in versione Bollita, arriva poscia in versione Stufata, che è una tecnica di cottura perchè, è noto, di materia prima eletta non ci si stanca mai.
E’ un piatto magico; l’evocazione ontologica c’ entra poco. E’ il magico gioco di equilibrio tra tessuto ghiandolare e manto fibroso che lo circonda con trama ghiottona a rendere il tutto richiamo a dipendenza futura nel gustarne magia.

E si sale, si sale di nuovo verso gli aspetti più nobili di una Cena che verrà ricordata dalla  Pro Frattaglia, gli undici palati che, ancora in campo, non sputano certo il polmone (o Fongadina, ci mancherebbe, mica pazzi !) ma giocano di cervello, anzi di Cervella bipartisan, sia essa di vacca che di puledro.
Quella vaccina, alias Fassona, è perfetta nella sua scioltezza:  tanto grassa quanto lieve; ma la vera sorpresa è quella equina. La fibra è diversa, dà maggiore struttura anche al cerebrum; mentre con la prima si gioca a pistone solo di lingua e palato, qui,  invece, la resistenza (e consistenza) richiede che innestiate il turbo ai vostri pistoni a dodici papille boxer.
Pensavate a tanta nobilitate di abbinare un Petrùs o, tanto per stare a far rima, uno Cheval Blanc? Macchè, fantastica la Barbera di Nizza Monferrato dei Conti Bronda, frutto di vigne ottantenni, maestosa, setosa  nella sua semplicità, addirittura con retrogusti di cioccolato. Da andar via di testa, anzi, di cervella... letteralmente.

C’est fini ?
Ma la conoscete l’anatomia? Non vi sembra che sia rimasto indietro qualcosa ? Siamo fatti de anima e core, non si può vivere solo di testa, a vai quindi di corazon, un Cuore ai ferri, sottile, eppure tanto regale, ad onor della sua funzione, anche per la pastosità che emerge sotto la crosticina della preparazione alla brace.
E, in terra veneta, ai ferri, vi è un altro evergreen indelebilmente presente nella memoria, voilà The Liver, il Fegato, eseguito alla venexiana, tanto per dirla alla Goldoni; ottimo anche questo, forse la fettina troppo sottile, un po’ prosciuttosa, ma può andar bene anche così, sopratutto se abbinata al vino preferito da Benito Urgu (quello di “Sexy Fonny”, ve la ricordate ?) il Cannonau Dettori del 2001 che, con i suoi  16.5°, ha sparato al settimo cielo palati e umori già in orbita, ebbri di una maratona che, a confronto, quella di New York  impallidisce; vi sentite degli Abebe Bikila di Frattaglialonga, ciascuno con medaglia d’onore, tutti bisbocciamente sul podio.

L’allegra brigata (la Pro Frattaglia, come dicevamo) era conscia di averla fatta grossa; qualcuno sventagliava trionfante il Menù della serata, già orgoglioso di quel sano reducismo che farà dire a figli  e nipoti…”Hic (cioè lì, citazione colta…) c’ero anch’io, hic…” (ma questo secondo è solo e genuinamente slang  etilico).

Categoria: Sararliche

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